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La crisi pandemica è stata politicamente molto difficile da gestire, sia a livello europeo che nazionale, ma non ha posto particolari dilemmi dal punto di vista della politica economica. Le politiche fiscali, monetarie e strutturali dovevano spingere tutte nella stessa direzione: verso l’espansione. Questo era il compito del esordiente strumento orizzontale di acquisto titoli (il Pepp) della Banca centrale europea, della sospensione del Patto di stabilità e crescita, del sostegno alle casse integrazioni nazionali attraverso il programma Sure e, infine, della creazione di Next Generation Eu (Ngeu). Anche prima della pandemia, non c’erano tensioni fra inflazione e crescita: nelle previsioni di autunno 2019, la Commissione europea prevedeva una crescita modesta all’1,4%, nel 2019 e 2020, in decelerazione rispetto al 2018, con un’inflazione all’1,4%, quindi sotto l’obiettivo del 2% della Bce. La strategia di transizione ecologica e digitale proposta dalla Commissione europea dava il quadro all’interno del quale orientare le scelte di riforma e investimento. Il combinato disposto delle misure monetarie e fiscali ha avuto un scontro favorevole sulla fiducia
degli investitori anche prima del pagamento di un solo euro di Ngeu.
La situazione è radicalmente cambiata con l’invasione russa dell’Ucraina. L’Unione europea deve far fronte oggi
ad almeno tre dilemmi.
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